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"U’ tiemb’ bell(o) r’ na vot(a)"

Grumento in Comune

n.20 Agosto 2011

Sul nostro ultimo articolo è stata redatta una cronaca degli antichi mestieri di Saponara: vogliamo porre all’attenzione, in questa ultima nota, altri mestieri e altri personaggi che hanno contraddistinto, con detti e modi di dire, queste attività, motti ancora oggi in uso. Tra le occupazioni scomparse del tutto figura il fotografo. Uno dei primi fu Rocco MILEO, abitante presso l’attuale casa di Vito LAURIA (vicino u’ curvon’): di esso si conservano ancora foto formato «gabinetto», con tanto di timbro e data, recanti l’iscrizione: “Fotografia Socialista Rocco Mileo - Saponara di Grumento – 1913”.

Un altro fotografo era Giovanni ROMASO, già dipendente comunale, padre dei dottori Antonio e Giuseppe: amava spesso sedersi presso il Bar Pasticceria FLORIO ed avventurarsi in interminabili discussioni con Vincenzo FLORIO, Totonno MANDUCA e Giovanni LEMMO (benzinaio, altro mestiere estinto a Grumento Nova). Fotografo estroso e simpaticissimo era Antonio CONTE da Minturno (u’ Talian’): il soprannome deriva dal fatto che rispetto al dilaetto grumentino parlava “italiano” famoso il suo intercalare “essului” per dire “eccolo, è lui, sta arrivando”. Si dilettava anche in piccoli giochi di prestigio.

U Mulunar’: a Saponara, vicino al fiume Sciaura, vi era uno dei mulini con ruota di pietra gestito da Francesco CAVALLO: nel corso degli anni, il mulino, grazie ai figli Paolino ed Antonio, fu trasferito in paese, a nostra memoria, in via Sotto le Mura. Paolino, prima di essere mugnaio, faceva il fabbro, ed ogni qualvolta rincasava, con la moglie Rosina imprecava: “Megli’(o) arraggiunà ch’i pacc(i) ca ch’i caparbij”.

Rusin’(a) rispondeva: “Paulì, nun t’ preoccupà, tutt’(o) s’aggiust’, nun t’ piglià velen’(o)”, e la cosa è conti- nuata per anni; non è dato, però, sa- pere contro chi Paolino inveiva. Altro antico mestiere era il maniscalco (ferraciucci(o)), opera svolta da Domenico TOSCANO, padre del defunto avvocato Antonio, “maestro” di vita e di cultura di intere ge- nerazioni. Ruminc’ lavorava presso la “forgia” di Carlino TOSCANO e Giovanni BRANDI: la tradizio- ne orale popolare racconta che in quell’opificio venivano realizzate “accette” (asce) talmente di qualità e finemente lavorate tanto da esse- re spedite nel Nord Italia e persino all’estero (in Francia, con tanto di iniziali e data di fabbricazione).

Trebbiatori in località Santo Spirito (1935 - per gentile concessione della famiglia Maiorino)
Trebbiatori in località Santo Spirito
(1935 - per gentile concessione della famiglia Maiorino)

I due si vantavano, e giustamente “ca’ i cett’ ca facimm’ nuij manc’ u Patratern(o), fora pccat’”.

Oggi, dell’arte del ferro battuto, dopo Francesco CAPUTI e Raffaele IMPERATRICE, famoso per i “sciassì”, è rimasto solo Pietro LORU, che con perizia e maestrìa modella il ferro in contrada Grumentino.

Ad esercitare l’antica arte del calzolaio (u’ scarpar) tra i primi a Saponara fu Giuseppe LAVEGLIA con bottega in Piazza Arciprete Caputi; venne dopo Giovanni LAVEGLIA, padre del mai dimenticato prof. Giuseppe, uomo stimatissimo, di grande cultura.

In tempi relativamente recenti si deve tener presente sicuramente Vincenzo PENNELLA (Mast’ Vcienz’) con laboratorio in via S. Infantino: “tra na’ s’micc’ e na tacci’(a)”, quando entrava qualcuno, immediatamente faceva cadere il discorso sui libri che leggeva, asserendo: “I(o) ndà matematic’(a) nun ‘er tropp’(o) brav’(o) ma ndà filosofi(a) e l’italian’(o) ‘er nu cannon!”.

Antonio PANDOLFI (u scarpar)
Antonio PANDOLFI (u scarpar)

Altro calzolaio noto a tutti era Vincenzo DI PIERRI, ora pensionato.

Un discorso a parte, perché probabilmente più vicino a noi come tempo, merita Totonno PANDOLFI: la sua bottega, quando era collocata al Peruzzo, era il ritrovo degli anziani che amavano ascoltare le novità del paese e fare del facile gossip; Totonno, dalla battuta sibillina, li ammoniva con frasi del tipo: “Citt’ tu, ca pur tu vai brul”; lasciamo questa frase alla libera interpretazione. U Furnaciar’: l’unico in paese era Giuseppe PALMA. Ancora oggi, per andare a casa del nostro caro amico Enzino diciamo: “Sciam u Furnaciar’”, lungo la strada provinciale (prim’ ra curv’ r’ sott’ i monach’(e)).

La fornace per la cottura dell’argilla e simili era in continua ebollizione e Peppin’ aveva il suo bel da farsi, ogni tanto si lamentava ma inesorabilmente continuava il suo lavoro. Comperò in seguito la famosa trebbia, unica in paese e partecipò la sua gioia a tutti i figli. Si diede così ai lavori agricoli: è di quel periodo che si ricordano le grandi mangiate dopo la fine dei lavori, a base r’ sauzicchi’(e) e supursat’(e) nda lund’. Tra i commercianti al minuto come non indicare Luigi BOSCHETTI, una “istituzione” in paese: chiediamo venia per gli altri perché l’elenco sarebbe oltremodo lungo. Inizialmente gestiva una giostra con Pietro ARMENTANO: celebri erano le chiacchiere continue tra i due.

La mente corre quando nel cinema, condotto da Giuseppe GERMINO detto “Quartino” poiché suonava uno strumento a fiato di dimensioni ridotte rispetto al clarino (famoso per il film “La nonna del Corsaro Nero” proiettato all’epoca), si vedeva il nostro Luigi con una cassetta attaccata al collo che attirava i bambini, gridando: “Caramelle, caramelle!”. Notissima era poi l’insegna del suo ultimo negozio: “Tutto per tutti da Boschetti. Lama Bartali.”

Tonino DI CILLO (a sinistra) e Pasquale LAMOGLIE, apprendisti nella sartoria di Giovanni CAPUTI
Tonino DI CILLO (a sinistra) e Pasquale LAMOGLIE, apprendisti nella sartoria di Giovanni CAPUTI

Altro commerciante al minuto era Vincenzo MANDUCA, con esercizio in via Roma, vendeva di tutto, persine le bare, sistemate su un soppalco. Sulla vetrina, ancora quella originale, è possibile leggere: “Vetri - Specchi - Colori – Ferrareccie”.

Molte volte i clienti, come capita spesso, domandavano al buon Vincenzo: “Vicì, staser’(a) ndò vai?” ed egli rispondeva laconico: “U’ 31 r’ Melf iè fest’(a) a Baril’(e)”. Manduca aveva inoltre un’agenzia di espatrio per le Americhe: sul vetro della porta si poteva leggere la reclame: «Flotta Lauro Italia».

Del mestiere di cui si sono perse memoria e traccia è il banditore (u’ banntor’): famoso è Totonn’(o) R’ Bias’(e) che dopo il duplice suono di tromba annunciava solennemente: “Miezz’(o) u’ Pruzz’(o) ngè u’Fore- stier’ osc’ e crai e po’ s’ n’ vai”.

Giuseppe COZZA (‘u varvier’, in piedi) con un cliente (Vincenzo DI PIERRI)
Giuseppe COZZA (‘u varvier’, in piedi) con un cliente (Vincenzo DI PIERRI)

Ed ancora, u Vardar’ che era appan- naggio di Vincenzo TRAVIATO. Siamo così giunti alla conclusione, perfettamente consci che mancano ancora tanti altri mestieri e tanti personaggi non citati in queste righe.

Ci scusiamo profondamente, ma certamente va il nostro plauso e il nostro sconfinato affetto a tutte queste persone (menzionate e non) che hanno contribuito a costruire una comunità semplice ma di forti legami e di solidi principi morali.

Questo è il dono più bello dato in eredità ai giovani di oggi, che si devono ritrovare insieme e sentirsi parte viva di una società che vuole crescere senza perdersi.

Ancora grazie.